La medicina popolare tradizionale nei paesi dell’Est ha utilizzato la rodiola (Rhodiola rosea L.) per aumentare la resistenza fisica, la produttività, la longevità, la resistenza alle alte temperature e per trattare affaticamento, depressione, anemia, disturbi gastrointestinali, infezioni e problemi del sistema nervoso.
Nei villaggi della Siberia un mazzetto di radici viene ancora donato alle coppie prima del matrimonio per migliorare la fertilità e assicurare la nascita di bambini sani. In Asia centrale l’infuso di rodiola è impiegato tradizionalmente per contrastare raffreddore e influenza durante i rigidi e lunghi inverni e in Mongolia la pianta veniva utilizzata anche contro la tubercolosi.
Per molti secoli solo i membri della famiglia sapevano dove raccogliere le “radici dorate” selvagge e conoscevano i relativi metodi di estrazione. I siberiani trasportavano in segreto la pianta lungo antichi sentieri fino alle montagne del Caucaso dove la scambiavano con i vini georgiani, frutta, aglio e miele e gli imperatori cinesi inviarono spedizioni in Siberia per riportare in Cina la “radice d’oro” e utilizzarla nelle loro formulazioni curative.
Linneo parla della rodiola come “astringente e per il trattamento di ernia, leucorrea, isteria e mal di testa” e nel 1755 la pianta fu inclusa nella prima farmacopea svedese. I Vichinghi la usavano per migliorare forza fisica e resistenza.
Nel 1961 il botanico e tassonomo russo G.V. Krylov, nel Dipartimento di Botanica dell’Accademia delle Scienze russa, guidò una spedizione nei monti Altai della Siberia meridionale dove localizzò e identificò la “radice d’oro” come Rhodiola rosea.
La ricerca successiva ne ha valutato l’attività adattogena e l’utilizzo per aumentare l’energia, la resistenza e la forza muscolari, migliorare l’attenzione e la memoria e potenziare le capacità di far fronte allo stress.
Fonte: American Botanical Council.